Renzo Gherardini |
Caro Angelo,
bello, il libro: bello per la sua compattezza, la
compattezza della vita, con le sue improvvise diversità, mai però in
contraddizione, sì, momenti ulteriori, se lontani l’uno dall’altro, messaggi che
si integrano, rendendo più vasta la pagina, cioè la realtà. Si potrebbe citare a
dovizia; basta aprire il libro e la felice sorpresa: come nel caso de:
“L’altra metà della strada ha un
sapore / di ritorno, dalla campagna all’imbrunire, / sulla pietra, nel battesimo
della pioggia lenta, / di ciò che studiammo negli anni
dell’adolescenza”.
Spazio e tempo congiunti. Fino alla conclusione, bellissima: “Mia madre, stanca saliva la mano / a
tracciare il volto di un figlio / e pensava che a guardare oltre la ringhiera /
forse, nel campo, avrebbe rivisto la rosa”. E’ un libro in cui
l’autobiografia diventa storia di un luogo, l’emozione singola, privata,
trasmette il sapore, il colore di un paesaggio generale, con improvvise aperture
su scene di una verità immediata, vissuta nello sguardo e nella percezione della
vita al suo primo nascere: “…i tenui fruscii negli appartamenti
/ scivolavano tra le pareti con la leggerezza / dei fantasmi -quelli che il
signor Giulio / materializzava ogni volta che il frastuono / del vociare lambiva
le lenzuola stese / al balcone…”
E poi l’infinità delle cose che
pullulano in ogni poesia, cose da cui spuntano situazioni che si rimandano l’una
all’altra come accade nella realtà, e che si spengono, ma senza la nostalgia di
un improvviso disegno, una scomparsa naturale come scompaiono naturalmente le
immagini della realtà, nella vita.
Qui, tutto è provvisorio e tutto è
necessario, si compone la sequenza dei momenti creando la necessità dei giorni,
come i singoli particolari dei paesaggi ne creano un’infinita
continuità.
Anche fatti assai lontani ricorrono,
remoti nel tempo ma così vivi nella memoria “come fosse ieri” “…nella sterminata campagna della
Linera -era l’otto maggio del millenovecentoquattordici- / i tralci di vite
spiantati / il paesaggio della casa, non più percorso dal vociare, / percosso
dal sussulto della terra”.
Nella verità del linguaggio gli
accadimenti anche più straordinari assumono l’aspetto della più arresa
perennità: “Le voci
dentro tornavano sotto forma di pianto”.
Vorrei insomma dire, il passaggio
della vita, in tutta la sua continua e contigua presenza “…fuori di ogni secolo, in un minuto,
/ in una storia, ciò che rimane visibile / è la sorgente che attraversa lenta la
montagna. / Poche cose cambiate, sfiorite le piante in giardino, / rinsecchite
come ai tempi della guerra / nello sperduto rifugio oltre il fiume.”
Voce e silenzio s’identificano: in
una loro miracolosa continuità. Un libro costantemente presente,
ripeto.
Un carissimo saluto e un augurio.
Firenze, 30 dicembre
2009.
Renzo
Gherardini
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